Più che in altri luoghi d’Italia qui, tra le colline toscane, si celebra l’attaccamento alla semplicità, che poi così semplice non è, se non si bada bene agli ingredienti.
Così il pane insipido si sposa con l’olio nuovo, il basilico dell’orto esalta la sua “pappa al pomodoro”, i ravioli, spogliati della loro veste di pasta, diventano “gnudi”, le frattaglie, insaporite degli odori della terra, trionfano nei sughi e negli intingoli.
E il ri-bollire della zuppa di ieri è un ingrediente in più che occorre ricordare nell’assaporare quell’inconfondibile gusto, un po’ pasticciato, della “ribollita”.
Perché in fondo la cucina di queste parti assomiglia alla parlata della sua gente, schietta e inconfondibile.
Una cucina di terra e di cuore, che bilancia il sale e le spezie, che esaspera la cottura delle carni, che imbandisce le tavole di selvaggina e funghi, una cucina che ragiona sempre ad alta voce.
La cucina ad Arezzo, più che altrove, sembra “roba viva”, si fa con quello che si ha, ma si fa per davvero.
Una passeggiata enogastronomica tra i vicoli del centro storico è un po’ come sollevare i coperchi dei tegami, o sbirciare nelle casseruole delle cucine casalinghe.
Le locande e le osterie, tipiche e raccolte, o insolite e viziose, dilettano il palato e lo spirito con un bicchiere di buon vino e con i piatti legati alla storia della loro terra.